La paura del giudizio degli altri
Temere il giudizio degli altri rappresenta una condizione estremamente, ma che spessissimo provoca una profonda sofferenza in chi ne soffre.
Ovviamente, all’interno di questa tematica entrano in gioco sia timori individuali (alcuni temono molto più di altri il giudizio esterno) sia pressioni sociali e culturali (ad esempio in un momento storico come il nostro in cui i social espongono moltissimo la vita personale agli occhi di migliaia di osservatori, ecco che l’opinione di followers, “amici” o haters pesa moltissimo).
È innegabile che il desiderio di fare una buona impressione, di piacere e, di contro, il timore di poter essere rifiutati, accomunano l’esperienza personale di molte persone.
Anche da un punto di vista evoluzionistico, tale condizione ha una spiegazione naturale molto semplice.
Essere accettati in un gruppo aumenta la possibilità di sopravvivenza, sia in termini di protezione, sia in termini di chance riproduttive.
Ecco dunque che, istintivamente, in molti di noi, il timore di essere giudicati male, si associa al timore di avere ripercussioni sociali e relazionali (essere abbandonato, attaccato, isolato).
Giudizio degli altri: c’è solo paura?
L’idea che il giudizio degli altri inneschi solo ansia e paura è sostanzialmente molto limitata.
Certo, è innegabile che l’ansia sia una delle emozioni più frequenti ed intense in questo genere di percezione, ma non è l’unica.
Certo, proviamo ansia nel momento in cui la percezione del giudizio degli altri si associa alla percezione di un pericolo, perché temiamo che un giudizio negativo possa determinare un allontanamento sociale, come si diceva in precedenza, ma in molti casi possono accompagnarsi altre emozioni.
Una delle più frequenti è la vergogna.
In questo caso il timore di essere giudicati si associa all’imbarazzo di aver rotto qualche norma sociale, qualche convenzione e quindi il disagio nasce dalla percezione di risultare inappropriati nei nostri comportamenti.
Non a caso, spesso, quando si prova vergogna, si diventa rossi come pomodori.
Perché?
Di fatto è un segnale di non volontarietà da parte nostra per la violazione che abbiamo messo in atto.
È come se dicessimo a livello non verbale: “non giudicarmi male, non l’ho fatto intenzionalmente” e, in questo modo, evitare reazioni dannose da parte del gruppo.
Un’altra emozione molto frequente per chi teme il giudizio altrui è il senso di colpa.
In questo senso il giudizio percepito e temuto non orienta la responsabilità sull’altro (“mi creano un problema”) ma su di noi sentendo che è colpa nostra se l’altro ci giudicherà male perché non siamo stati all’altezza di qualcosa.
In altre situazioni il timore del giudizio degli altri può determinare una profonda rabbia nella persona che teme tale giudizio e questa condizione si manifesta soprattutto quando c’è una forte percezione di ostilità da parte degli altri.
In questo caso l’idea di fondo è che il loro giudizio malevolo sia intenzionale e atto a volerci cagionare un danno, senza che noi ci possiamo in alcun modo sentire meritevoli o colpevoli di tale trattamento.
Ecco che la percezione di ingiustizia per un giudizio di questo tipo può generare una risposta rabbiosa di attacco, sia esso fisico o verbale.
Un’altra direzione che invece può prendere questa condizione è quella di un ritiro depressivo, un isolamento che reca in sé il peso della sconfitta.
Come a dire “gli altri non mi capiscono, per cui io mi allontano”.
Quali sono i bersagli più frequenti del giudizio altrui?
È difficile dare una risposta unica, perché possono davvero essere i più disparati.
Se vogliamo una regola non scritta, comunque, potrebbe riassumersi con la massima “la lingua batte dove il dente duole” e quindi, a seconda delle specifiche aree di debolezza o fragilità, possiamo avere timori di giudizio relativamente:
èAl nostro aspetto fisico
è Alle nostre performance
è Al nostro orientamento sessuale
è Al nostro status sociale
Solo per citarne alcune delle più frequenti.
Le strategie disfunzionali per evitare il giudizio degli altri
Generalmente la strategia principe per chi soffre di questo problema è l’allontanamento dalle situazioni in cui emerge il timore del giudizio o l’evitamento preventivo di tutte le situazioni potenzialmente problematiche.
La conseguenza di questo atteggiamento reiterato è che, non solo perdiamo l’opportunità di vedere se le cose stanno effettivamente così, ma anche di imparare, restandoci dentro, nuove strategie per migliorare la nostra incapacità.
L’effetto invece di “mollare” è proprio quello di restare sempre impacciati e incapaci di reagire.
Oltre a queste modalità però possiamo incontrare altre strategie che risultano essere particolarmente peggiorative.
La prima di queste tentate soluzioni disfunzionali è quella di ricorrere a sostanze in rado di alterare il nostro disagio: ansiolitici, alcolici, cannabinoidi.
Se, infatti, in un primo momento questo comportamento “aiuta” a ridurre l’impatto emotivo della situazione, di fatto può determinare progressivamente una continua necessità di ricorrere a tale strategia, instaurando da un lato una dipendenza mentale e fisica da dette sostanze ma, soprattutto, rinforzando la convinzione disfunzionale che, senza tali artifici, non si possa essere in grado di sostenere il giudizio altrui.
Inoltre, in molti casi, l’uso delle sostanze non si limita a supportare la situazione reale, ma diventa talmente preventivo da portare la persona a ricorrere a tali comportamenti anche di fronte all’ansia, al pensiero anticipatorio.
In altre parole non ci si limita ad usare le sostanze quando la situazione è reale, ma in situazioni assolutamente di calma, solo per cercare di tenere a bada il pensiero.
Le caratteristiche di personalità di chi soffre di questo problema
È sicuramente la caratteristica che maggiormente si ritrova nel disturbo d’ansia sociale.
In questo caso, la persona che ne soffre non vive solo una condizione continua di timidezza, ma ha continuamente la percezione che l’altro lo criticherà e lo giudicherà.
C’è spesso la sensazione di sentirsi costantemente osservati durante le performance o le normali azioni quotidiane.
Anche nel disturbo evitante di personalità vi è il timore del giudizio dell’altro, ma queste persone si trovano in difficoltà in una ampia varietà di contesti e temono proprio la relazione e l’inclusione in un gruppo (che potrebbe comportare il dover mettersi a nudo o approfondire una condizione di maggiore intimità).
In alcuni casi anche persone con spiccate caratteristiche narcisistiche soffrono il timore del giudizio.
In primis perché dietro il tentativo di celebrare la propria grandiosità spesso vivono una continua condizione di inadeguatezza (e il narcisismo è spesso una forma di compensazione), inoltre, poiché il loro “giudice interno” continua a farli sentire inadeguati, inizieranno a temere che anche gli altri possano vedere tali debolezze e incapacità.
Anche il tratto paranoico è caratterizzato dalla percezione che gli altri stiano continuamente attenti a noi e, spietatamente ci giudichino, ma rispetto all’emozione di paura, ciò che è preponderante in tipologie percettive di questo tipo è la rabbia, coperta o manifesta, che in molti casi può portare allo scontro.
Intervenire sulla paura del giudizio
Questo tipo di problema si struttura su una logica della credenza.
In altre parole la persona è sempre più convinta che tale situazione sia reale, da non arrivare, molto spesso, nemmeno più a verificare se il timore è effettivo o immaginato.
Come una “bambola rotta, con gli occhi rivolti all’interno” è costantemente immersa nella propria realtà immaginata, senza più verificare la fondatezza delle sue ipotesi.
Va da sé che, uno dei lavori più utili per un problema di questo tipo è proprio quello di portare la persona a verificare se i suoi timori sono fondati, in che misura, verso chi, in altre parole a guardare come stanno davvero le cose (anche solo per “difendersi meglio”).
Ciò che spesso accade, quando la persona inizia a cercare prove di critiche evidenti e inequivocabili, è che, molto spesso non ne trova.
A questo punto, una manovra molto efficace consiste nel fare una sorta di graduatoria di situazioni di esposizione nelle quali si teme il giudizio, individuando con quali persone o su quali argomenti, tale critica potrebbe essere sopportabile o, comunque, meno terribile di altre.
Una volta individuata la situazione più sostenibile, l’obiettivo è di entrare volontariamente in tale contesto e provare ad esprimere un proprio parere, un dissenso, una proposta, per verificare se tale azione produce o meno i nefasti effetti temuti.
Gradualmente interventi di questo tipo e di altre manovre di questo genere, riallineano la percezione della persona, portando, in molti casi a ridimensionare la gravità percepita in precedenza.