IL POTERE DEL DIALOGO INTERNO
Le parole che usiamo, le frasi che diciamo, non servono solo a comunicare le nostre intenzioni agli altri e a noi stessi, ma veicolano anche una serie di emozioni.
Alcune ci motivano, ci caricano, ci attivano, mentre altre innescano reazioni meno effficaci nell’ottica del cambiamento.
Ci rattristano, ci spaventano o semplicemente ci distraggono dall’obiettivo.
Tutte le volte che parliamo con noi, dovremmo davvero prestare attenzione a che tipo di reazioni anche biochimiche andiamo a creare nel nostro cervello, perché le parole fanno proprio questo.
Creano scenari nella nostra mente e, di fronte a questi scenari il cervello reagisce liberando sostanze: dopamina (il nostro eccitante naturale) quando desideriamo e smaniamo per qualcosa, cortisolo (l’ormone dello stress) quando lo scenario implica pericolo, impegno, sforzo, ossitocina (l’ormone dell’empatia, della morbidezza, della calma). Insomma, scegliamo bene le parole che usiamo perché determinano il modo in cui affronteremo o rinunceremo ai nostri obiettivi.
TANTO ORMAI
Questo genere di frase penalizza profondamente qualsiasi iniziativa, perché è una comunicazione che veicola un significato estremamente negativo.
Ci mette in una condizione di resa perché è come se suggerisse che, nel momento in cui la frase viene pronunciata, non vi sia possibilità di apportare cambiamento perché l’evento è avvenuto prima, in un passato concluso.
Da un punto di vista comunicativo, il messaggio che il nostro cervello riceve è di smettere le ostilità, interrompere l’impegno, che la battaglia è finita e i giochi sono stati fatti.
SPERIAMO
Questo termine che, ad una prima occhiata, può sembrare incoraggiante, sottende invece una serie di significati che, in un’ottica di cambiamento e di impegno attivo, remano contro corrente.
Il termine sperare infatti richiama il concetto della passiva attesa fiduciosa che qualcosa agisca al posto nostro il cambiamento.
Diverso è dire “lo voglio” o “lo faccio”.
Sperare, anche se molte persone lo dicono quasi come una prudente scaramanzia, determina impliciti molto penalizzanti.
È curioso che, nella lingua spagnola, lo stesso verbo “esperar” significa sia “sperare”, sia “aspettare” e ci ricorda che sperare mette di fatto in una condizione di attesa e non di azione.
CI PROVO
Anche questo termine che, ad una prima occhiata, può sembrare incoraggiante, veicola un concetto un po' delicato.
Provare è un verbo che il cervello non concepisce, perché non è azione.
Prova implica una preparazione all’azione.
Le prove non attivano la stessa performance e determinazione di una azione.
Sto facendo le prove di un’interrogazione o sto facendo le prove di guida nel parcheggio prima di immettermi sulla strada.
D’accordo, sto apprendendo.
Va bene.
Ma non ho sicuramente tutta quella determinazione, concentrazione, volontà, disponibilità a fare il tutto per tutto che avrei di fronte alla consapevolezza che non stiamo facendo le prove, che siamo al debutto.
HO PRATICAMENTE FINITO
L’ultima frase che ti propongo, non ha a che fare con il blocco iniziale della performance, ma è una di quelle frasi che sta alla base del calo della prestazione e che, in alcuni casi, può aprire la strada alla procrastinazione.
“Ho praticamente finito” abbassa prima di tutto l’efficienza di ciò che stai facendo perché il cervello, che ci piaccia o no, inizia a rilassarsi e ad abbassare l’attenzione.
Siccome “manca poco”, siamo più indulgenti anche nel rimandare a dopo la chiusura, aprendo di fatto le porte alla procrastinazione. Infine, siccome è “praticamente finito” il cervello inizia a pensare a altre idee, altri progetti, altre direzioni, iniziando di fatto a distrarci.
Ricorda il mantra: una cosa è finita quando è davvero finita.