Stimolazione e Trauma
Fino ad ora abbiamo osservato il ruolo della relazione all’interno dello sviluppo infantile come elemento di stimolo e ...
maturazione essenziale al bambino per uscire dall’onnipotenza iniziale e iniziare a vivere nel mondo come unità integra e separata. In questo paragrafo analizzeremo invece cosa succede quando ciò non si verifica in maniera soddisfacente, ossia quando si genera nel bambino un trauma. Il concetto di trauma è d’uso corrente nella letteratura psicoanalitica, ma in Winnicott assume un’importanza fondamentale per comprendere la nascita della psicopatologia. Winnicott collega il trauma all’idea di stimolazione, ma per capire pienamente cosa intenda con questo termine è opportuno partire da differenti tipi di stimolazione che si instaurano nelle diverse modalità di relazione madre-bambino. In altre parole, se c’è il sostegno dell’Io quando il bambino agisce sull’ambiente per un bisogno o impulso, magari espresso in un gesto o movimento, la madre reagisce in modo sensibile (con una poppata, una carezza, un abbraccio, ecc…). Questo determina un contatto creativo e rassicurante con il mondo. In questo caso l’ambiente agisce sul bambino in un modo che rientra nelle sue competenze, perché è prevedibile; ciò è possibile perché la madre ha in mente il bambino come persona intera. Quando manca il sostegno dell’Io o protezione, l’ambiente stimola il bambino in modo tale da costringerlo a reagire (es. cambiamenti improvvisi dell’umore del care giver, situazioni di abbandono, ecc…). Se il bambino non è in grado di rispondere all’ambiente, o perché tali situazioni sono frequenti, o perché l’entità dell’episodio è eccessiva, sopraggiunge il trauma. L’imprevisto rompe momentaneamente la continuità dell’esistenza e quindi disorganizza il campo che il bambino conosceva e del quale aveva imparato a fidarsi. Un accumulo di stimolazioni traumatiche nello stadio della dipendenza assoluta rischia di mettere a repentaglio la stabilità e la salute mentale dell’individuo. Il trauma è dunque per Winnicott “una stimolazione da parte dell’ambiente e della reazione dell’individuo all’ambiente, che interviene prima che l’individuo abbia sviluppato i meccanismi che rendono l’imprevedibile prevedibile”[1]. Di fronte a un evento che non è “digeribile” per usare una terminologia vicina a Bion, il soggetto sperimenta un’autentica e terrificante minaccia di annientamento. Il concetto di annientamento si sviluppa nell’elenco di quelle che Winnicott chiama “primitive angosce mortali” o angosce “impensabili”, che vengono espresse attraverso diverse paure:
- di andare i pezzi
- di cadere per sempre
- di perdere completamente il rapporto con il proprio corpo
- di non avere più orientamento
- di perdere la capacità di comunicare e di rimanere isolato per sempre.
Racalbuto, citando un caso clinico, descrive egregiamente la non pensabilità di un trauma emersa durante una seduta con un suo paziente.
Egli afferma che “Un aspetto saliente dell’analisi di Aldo è stato l’agire in seduta (…) una sorta di “assenza” in occasione di momenti che iniziavano ad aver per lui un potenziale libidico- emotivo insostenibile. (…) Si trattava per il paziente di situazioni suscettibili di essere “sentite” psicosomaticamente, ma non ancora “pensate” in termini di rappresentazioni verbali significative (espresse come) crisi psicotiche regressive di depersonalizzazione. (…) Si trattava, mi parve, della conseguenza di una intollerabile perdita; queste crisi erano necessarie ad Aldo per “sopravvivere”. (…) Non avevo possibilità di interpretare alcunché in proposito perché l’assenza, di cui poi Aldo non ricordava niente, era scissa e mantenuta fuori dalla pensabilità delle rappresentazioni di parola (…) potevo non tanto parlargliene, quanto cercare, attraverso tentativi, errori e successi, di offrirmi come area di risonanza e quindi di elementare significazione affettiva dei suoi vissuti regressivi.”[2] In queste righe appare molto chiaramente sia l’espressione del trauma come un fattore destrutturate della continuità personale, sia dal punto di vista affettiva, sia cognitivo, sia la funzione di contenimento che l’autore cerca di mettere in atto offrendosi come area di risonanza sufficientemente buona (attraverso tentativi, errori e successi) e non impeccabile. Emerge inoltre il tentativo di una reverie, ossia di una rielaborazione in forma più “digeribile” di quegli elementi altrimenti inaccettabili per il paziente o, per usare la terminologia di Bion, di trasformare gli elementi beta (protopensieri rappresentanti psichici della pulsione) in elementi alfa (veri pensieri “rappresentazioni di cosa”), adempiendo la funzione di “disintossicazione” che l’ambiente non è stato in grado di garantire.[3] Ovviamente la relazione tra le angosce e l’effettiva stimolazione ambientale è estremamente complessa e quindi è improbabile prevedere che tipo di reazione potrebbe generarsi da un episodio potenzialmente traumatico. Winnicott comunque postula una sequenza possibile per spiegare la genesi del trauma:
- Interviene una stimolazione che può essere esterna o proveniente da un impulso interno e che viene vissuta dal bambino come travolgente senza la possibilità di un sostegno dell’Io.
- C’è una reazione corporea riflessa che genera una profonda angoscia e che non da la possibilità di organizzare contro di essa le difese nell’Io.
- L’elaborazione immaginativa della reazione alla stimolazione appare in una delle forme elencate da Winnicott come “angoscia mortale primitiva”. Queste fantasie possono prima o poi svelarsi come “il materiale delle angosce psicotiche”[4], come precedentemente osservato nel caso clinico citato.
L’angoscia mortale primitiva, intervenendo sul processo maturativo, da luogo a disintegrazione attraverso queste fasi: NON INTEGRAZIONE PRIMARIA - INTEGRAZIONE PARZIALE - TRAUMA - DISINTEGRAZIONE. Quando le reazioni disgregatrici della continuità dell’essere si ripetono con insistenza, attivano uno schema di frammentazione dell’essere. “Il bambino che ha uno schema frammentario della linea dell’esistenza si trova di fronte un compito evolutivo che è, quasi fin dall’inizio, sovraccarico e sbilanciato in direzione della psicopatologia”[5].
[2] A. Racalbuto “Tra il fare e il dire: l’esperienza dell’inconscio e del non verbale in psicoanalisi”, ed. Raffaello Cortina, 1994. Pag. 7
[5] D. W. Winnicott “Ego Integration in Child Development” “L’integrazione dell’Io nello Sviluppo Infantile” in “The Maturational Processes and the Facilitatine Environment Hogarth Press, London. Clarke Irwin and. Co. Ltd., Toronto,1965.