Personalizzazione e relazioni oggettuali
Un aspetto importante dell’integrazione è ciò che Winnicott chiama personalizzazione, intendendo l’acquisizione di uno schema corporeo personale ...
- Personalizzazione
Un aspetto importante dell’integrazione è ciò che Winnicott chiama personalizzazione, intendendo l’acquisizione di uno schema corporeo personale, con la “psiche dimorante nel soma”.
Secondo Winnicott le esperienze sensoriali e motorie portano il lattante ad una conoscenza sempre più integrata di Sé. Come sviluppo ulteriore viene a costituirsi quella che si potrebbe chiamare membrana delimitante che (in condizioni di salute) coincide con la superficie della pelle e occupa una posizione tra il “me” e il “non me” del bambino. Costui viene quindi ad avere un dentro e un fuori ed uno schema corporeo. In questo modo acquista un significato la funzione di immettere ed espellere e comincia ad avere senso attribuire al lattante una realtà psichica personale o interna.
La conquista della personalizzazione è graduale e intimamente connessa alla presenza di un’offerta ambientale sufficientemente buona che non sappia solo accogliere e contenere il bambino (holding), ma anche maneggiarlo (handling).
La manipolazione adattiva implica, nella persona che si occupa del bambino, la capacità di maneggiarlo favorendo progressivamente la coordinazione e lo sviluppo, sia muscolare, sia emotivo.
E’ questo handling un altro concetto essenziale e innovativo di Winnicott e che si riferisce all’importanza del contatto corporeo non solo per fini protettivi e rassicurativi, ma soprattutto per far sentire al bambino il suo corpo, i confini e la sua interezza.
Un concetto similare è quello di bonding introdotto da E. Reich quando parla dell’importanza fondamentale che riveste il contatto nel neonato, anche come forma comunicativa che incoraggia la relazione con l’ambiente; in assenza di contatto (non solo fisico) il bambino progressivamente si ritira.
Come afferma, infatti, S. Wendestald, parlando del massaggio bioenergetico neonatale di E. Reich: “ In videoregistrazioni analizzate al rallentatore vengono rese visibili delle microinterazioni che non si possono osservare ad occhio nudo, e viene rivelato un neonato mai visto prima: tutt’altro che passivo, stimola di propria iniziativa la madre a rispondergli, le segnala i suoi bisogni, ne riceve e ne comprende i messaggi[1]. Se il suo anelito viene ricambiato, il piccolo è motivato a esplorare, a giocare, a cercare piacere. Se la madre non può ascoltare i suoi messaggi il neonato lotta per essere notato: piange.
Soltanto se non è corrisposto ripetutamente, rinuncia e si ritira in sé: non crede più nelle proprie capacità di stabilire un “contatto”. Quando (invece) è radicato nel “contatto” con la madre il neonato si trova nello stato di salute (…). Quando questo avviene durante il massaggio neonatale, Eva Reich parla di “glow and flow” (ardore e flusso) (…) espressione visibile della libera pulsazione plasmatici-energetica, auto-espressiva, attraverso la quale madre e bambino dialogano, uniti in un unico bio-sistema che “sa” come svilupparsi, se la madre può cooperare”[2].
- La relazione oggettuale primitiva e il vissuto di onnipotenza
Entriamo ora nel campo delle relazioni oggettuali che, allo stadio di sviluppo che stiamo prendendo in considerazione (il momento in cui la dipendenza assoluta si protende verso una dipendenza relativa) pone un ulteriore dilemma. Affinché il bambino possa avere delle relazioni oggettuali deve aver ben chiara la distinzione tra “me” e “non me”, distinzione che a questo stadio di sviluppo è solo parziale e l’oggetto delle relazioni primarie del lattante è indistinguibile da se stesso. Winnicott parla in questo caso di “oggetto soggettivo” per distinguerlo dall’ “oggetto oggettivamente percepito”[3].
Anche in presenza di continue cure materne, secondo Winnicott non esiste relazione oggettuale fino a quando “l’Io non inaugura le relazioni oggettuali[4]”.
Il bambino non è quindi soggetto a gratificazioni istintuali fino a quando non c’è la partecipazione dell’Io.
In questo senso la madre sufficientemente buona non è quella che semplicemente si impegna a dare soddisfazione al bambino, ma è colei che permette al bambino di aver bisogno di cercare l’oggetto e di entrarvi in relazione. Ancora una volta emerge l’attenzione di Winnicott verso il ruolo attivo del bambino e della fiducia nel suo potenziale. Fare troppo per il bambino senza aspettare di creare quel vuoto che porti il bambino a sentire che c’è altro da Sé non sempre controllabile, impedisce al bambino la rappresentazione mentale dell’oggetto.
Inoltre, il fare troppo, può dar luogo ad una stimolazione alla quale il bambino deve continuamente reagire generando in lui un senso permanente di minaccia alla sua esistenza. Riprenderemo questo aspetto successivamente parlando dell’origine del trauma e, in maniera più dettagliata, nel paragrafo relativo al vero Sé.
Permettere al bambino di fare da solo in reazione ad un bisogno, sarà vissuto come un qualcosa che viene da se stesso, ma che può essere soddisfatto rivolgendosi all’esterno e cercandolo nell’ambiente.
Questo passaggio è fondamentale all’interno del percorso di sviluppo in quanto porta con Sé numerose implicazioni, prima tra tutte l’uscita dal primitivo vissuto di onnipotenza e l’ideale passaggio da “Io sono il creatore del mondo” a “io trovo nel mondo ciò di cui ho bisogno”.
[1] Rispetto alla descrizione del neonato inizialmente privo della consapevolezza di una differenza tra “sé” e “altro da sé” data da Winnicott (e che vedremo nel successivo paragrafo, n.d.a.), l’immagine di questo neonato appare più attiva e predisposta a una relazione reciprocamente interattiva.
Se da un lato questa visione del bambino rivela i limiti di alcuni aspetti della teoria winnicottiana (che come in quella di Mahler riteneva che il bambino attraversasse necessariamente una “fase artistica”), dall’altro evidenzia come recenti ricerche confermano le straordinarie intuizioni di questo affascinante autore.
In entrambi i casi, infatti, l’elemento che emerge prepotentemente è l’importanza di una relazione sincronizzata, o per usare le parole di Winnicott, di un ambiente sufficientemente buono, in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni del neonato. N.d.a.
[2] S. Wendestald “La spiritualità del contatto”, IIBA 16° Conferenza Nazionale 10- 13 Maggio 2001, Belgirate (Italia), pag. 5 dell’omonimo articolo, a cura del Centro Studi Eva Reich.
[3] M. Davis e D Wallbridge “Introduzione all’opera di Donald D. Winnicott: Spazio e confine”, ed. Psycho, Firenze. Pag. 59