La relazione tra emozioni e blocchi muscolari in bioenergetica
Lowen sottolinea come “ non siamo abituati a pensare alla personalità in termini di energia: ma le due cose non possono essere disgiunte.
La quantità di energia che un individuo impiega e il modo in cui la impiega determina necessariamente la sua personalità e si riflette in essa.Alcuni hanno più energia di altri; altri ancora sono controllati. Una persona impulsiva, per esempio, non è in grado di controllare un aumento del proprio livello di eccitamento o di energia; deve scaricare il più rapidamente possibile la maggiore eccitazione. L’ossessivo impiega la sua energia in modo diverso; anch’egli deve scaricare l’eccitamento, ma lo fa secondo schemi motori e di comportamento rigidamente strutturati.”[1] Il rapporto esistente tra energia e personalità è stato evidenziato precedentemente quando è stato fatto l’esempio della persona che sperimenta una condizione di depressione e che evidenzia un livello energetico ridotto. Dal punto di vista bioenergetico, il modo più rapido per aiutare questa persona è cercare di incrementare la sua energia e “il sistema più immediato per raggiungere questo scopo è quello di far aumentare l’assunzione di ossigeno – farlo cioè respirare più a fondo e con maggiore pienezza. (…) Ma l’effetto della respirazione più profonda e più piena (…) non è la cura. Inoltre tale effetto non è destinato a durare, perché il paziente non è in grado di mantenere spontaneamente la respirazione più profonda.”[2] Perché si produca un cambiamento duraturo è essenziale un lavoro attivo del paziente teso ad aumentare la propria carica energetica, ma anche a scaricarla. Affinché ci sia equilibrio, infatti, è indispensabile che si strutturi un flusso dinamico di accumulo e liberazione dell’energia e ciò è possibile solo attraverso un progressivo aumento dell’autoespressione e del movimento. Durante gli esercizi sulla respirazione possono emergere emozioni represse; a volte si tratta di uno scoppio di rabbia, altre volte di tristezza, ma anche sensazioni di sollievo e piacere. Questo si verifica soprattutto quando un esercizio respiratorio ammorbidisce le tensioni muscolari che a volte si sono strutturate e progressivamente “cronicizzate” per inibire e trattenere prima, e mantenere poi, una carica emotiva inespressa. Lowen in proposito afferma che “si inibisce l’impulso di piangere irrigidendo la mandibola, restringendo la gola, trattenendo il fiato e ritenendo l’addome. La collera, nella sua manifestazione di colpire qualcosa, può essere inibita con la contrazione del cinto scapolare, che porta a spingere indietro le spalle. All’inizio l’inibizione è cosciente e serve ad evitare altri conflitti e dolore. (…) Quando l’espressione di un sentimento non viene accettata nel mondo del bambino e dunque la sua inibizione deve essere mantenuta per un tempo indefinito, l’io abbandona il controllo sull’azione proibita e ritira la propria energia dall’impulso. Il controllo dell’impulso allora diventa inconscio e il muscolo rimane contratto perché gli manca l’energia per rilassarsi ed espandersi.”[3]
Questo processo determina due conseguenze:
- la prima riguarda la contrazione cronica del muscolo che resta fissato in una situazione di tensione,
- la seconda, direttamente collegata alla prima, riguarda la diminuzione del metabolismo energetico dell’organismo, poiché le tensioni muscolari impediscono di respirare in modo ottimale.
Questa situazione porta la persona ad operare aggiustamenti nel suo stile di vita, evitando situazioni che possono evocare sentimenti repressi o esporla ad emozioni non tollerabili per il suo sistema energetico. Per fare questo il soggetto giustificherà il suo comportamento mettendo in atto le difese dell’io: la proiezione, la negazione, la provocazione, la razionalizzazione, il senso di colpa, ecc… In questo modo l’individuo si costruisce una corazza caratteriale proteggendosi, sia a livello corporeo, mediante le tensioni muscolari croniche, sia a livello mentale, mediante i meccanismi dell’io. “Avendo raggiunto una certa misura di stabilità e di sicurezza, l’io si fa vanto della sua realizzazione, trae soddisfazione dalle compensazioni e dagli aggiustamenti operati. L’uomo incapace di piangere guarda questa incapacità come un segno di coraggio. Anzi, può addirittura deridere gli uomini o i ragazzi che piangono facilmente, facendo passare per virtù il suo tratto nevrotico. L’individuo incapace di arrabbiarsi o di buttarsi a capofitto in qualcosa trasforma il suo handicap in virtù, sostenendo che la capacità di vedere l’altro lato delle cose è indice di ragionevolezza.”[4]